Suppongo
sappiate: il Mercadante è riuscito ad ottenere il riconoscimento di «teatro nazionale» dalla Commissione
consultiva per la prosa del Ministero dei beni culturali, con quanto ne
consegue per ciò che attiene all’erogazione di un consistente finanziamento
pubblico. Senza dubbio è una buona notizia, ma un sereno ed onesto commento
della notizia non può eludere gli elementi di criticità. Il Mercadante è ultimo
nella lista dei teatri che ottengono il suddetto riconoscimento. Agguantato in
extremis, si è scritto, e a ragione. Piuttosto che per il progetto, giudicato
debole, il riconoscimento sembra venga concesso perché sarebbe stato insultante
negarlo a una città che vanta una gloriosa tradizione teatrale. Come sempre, insomma,
campiamo di rendita del passato che fu. Rendita che solo chi non è
intellettualmente onesto può negare sia ormai ridotta al lumicino. Ce ne
sarebbe di che avere l’amaro in bocca, ma un milione e 200mila euro all’anno ce
l’addolciscono, quasi come a consolarci.
Cito
dal Mattino di mercoledì 25 febbraio:
«“Avevamo e abbiamo dubbi sul progetto del
Mercadante – spiega il presidente Argano – ma Napoli ha una storia e una comunità
teatrale che non poteva essere penalizzata. Non ci ha convinto pienamente
perché non è bene articolato”. È una pesante critica al direttore artistico
Luca De Fusco, che il progetto ha prodotto, una critica tale da determinare il
basso punteggio dello Stabile napoletano. “Non è un giudizio sulla persona” precisano
da Roma. “Ma ci sono molti elementi di opacità”. A cominciare dal rapporto non
limpido tra il Mercadante e la Fondazione Campania dei Festival (della
Regione), entrambi in mano a De Fusco. “Napoli, con la sua tradizione e i suoi
protagonisti – aggiunge Argano – poteva mettere in campo un progetto
potentissimo, ma purtroppo non è stato così: è fragile”».
Ogni
considerazione mi pare superflua, non resta che rimboccarci le maniche e, per
quanto ci è possibile, ciascuno secondo le proprie responsabilità, cercare di
rimediare, di onorare l’occasione, senza sprecarla, con lo sforzo che compete a
quanti sono in vario grado chiamati in questione. Trasparenza, in primo luogo,
a cominciare da chi viene investito ai più alti e diretti livelli di
responsabilità: delle pertinenze, dei ruoli, dei meccanismi gestionali, dei
passaggi di interrelazione istituzionale. E poi un po’ d’amore per il
patrimonio culturale della città: metterlo a frutto, smettendola di compitarlo
come una stanca e logora liturgia, tra oleografia e decorazione.
Ancora
una volta spetta a Luigi De Magistris districare i nodi, spegnendo sul nascere,
se possibile, gli inevitabili contenziosi tra interessi di singoli e di gruppi
a vario titolo chiamati a cooperare in un lavoro i cui frutti andrebbero a
beneficio di ciascuno e di tutti. È un augurio, ma soprattutto un’esortazione.